Lavoro come psicoterapeuta ormai da diversi anni, la maggioranza dei miei pazienti sono giovani donne dai 25 ai 40 anni, arrivano perlopiù per sintomi ansiosi, attacchi di panico, stati depressivi. i fattori scatenanti possono essere diversi…famiglia, pressioni lavorative/universitarie, delusioni amorose. Quello che spesso mi stupisce di queste ragazze così fragili, in realtà è la loro eccezionale intelligenza, le risorse interne che faticano a far emergere ma che hanno, la loro capacità di leggersi dentro, ma anche il desiderio fortissimo di lavorare su di sè, di cambiare, di crescere.
Eppure qualcosa le blocca, le fa dubitare di quello che potrebbero essere, di quello che sono, le fa incespicare tanto da risultare arrendevoli, rassegnate, così deluse e abbattute da non riuscire a vedersi, riconoscersi, conoscersi.
Difficile dipingere un quadro generale, ognuna di loro ha una storia unica, problematiche differenti, un percorso evolutivo e trasformativo peculiare, ma mi sono trovata ad identificare degli elementi comuni, ed in particolare un elemento che le contraddistingue: la solitudine. Non parlo dell’essere sole ed isolate dal mondo, queste ragazze hanno spesso, non sempre, una rete ampia di amicizie e conoscenze con cui passare il tempo libero, confrontarsi, ma ad un certo punto è come se non fossero sufficienti, come se il vuoto interiore che vivano possa solo essere coperto dal rumore delle chiacchiere, delle uscite serali, delle vacanze in gruppo, ma non possa essere colmato.
Il desiderio più grande resta quello di trovare un compagno, che le possa apprezzare, capire, coccolare, ma soprattutto con cui poter condividere la vita…cose semplici all’apparenza, un cinema, una cena, dei progetti insieme, una risata, uno sguardo d’intesa, ma che possa farle sentire complete, amate, rispettate.
E dove sono questi ragazzi? tutti già “presi”? la sensazione, soprattutto dopo i trent’anni, mentre si assiste ai vari fidanzamenti, matrimonio, famiglie delle amiche intorno, è di essere state scartate, o peggio di doversi accontentare degli avanzi, perchè se qualcuno è libero di sicuro ha un problema, è difettato, quindi anche loro lo sono. La ricerca del compagno diventa quindi una missione a tappe forzate e deludenti. esauriti gli amici degli amici, si passa ai conoscenti, all’ambiente di lavoro, alle vacanze per gruppi di single, all’uso dei social, in particolare di tinder…in fondo siamo una società connessa sempre e ormai quasi esclusivamente, abbiamo spostato l’ambiente di incontro dall’aperitivo allo schermo del cellulare, dove possiamo essere tutto e il contrario di tutto, con apparente rischio minimo.
E dico apparente perchè le modalità di incontro sui social sono al contempo facilitanti e devastanti. Innanzitutto ci si scontra con uomini che dichiarano da subito cosa non vogliono: no relazioni stabili, no bionde, no more, no basse o alte, no isteriche o pretenziose… si parte da quello che si esclude, non da quello che si desidera, e già questo è indicativo. L’elemento dichiarato o più spesso implicito è che ci si conosce con uno scopo e quello soltanto, quindi il tutto avviene alla velocità della luce, non ci sono i passaggi del corteggiamento, se non brevi e virtuali, si passa subito ad un linguaggio più spinto, sessualmente intenzionato, così ancor prima di vedersi, di toccarsi, di conoscersi davvero si va a creare un’intimità fittizia carica di aspettativa, che se non incontra la realtà ha come risultato un abbattimento dell’autostima, l’inizio di una serie di domande sul cosa ho di sbagliato, cosa ho fatto di sbagliato, perchè io non sono abbastanza. anche la chiusura è altrettanto rapida e drastica, da che ci si scriveva fino a notte fonda a che il ragazzo in questione sparisce senza lasciare di sè alcuna traccia, se non quella chiara che la sua presenza sulla app ne denota la ricerca di qualcun altro.
C’è una specie di frenesia all’inizio, quella di avere finalmente successo nell’incontro con l’altro, si comincia con il chattare con più persone contemporaneamente, si hanno diversi appuntamenti, si fa sesso con leggerezza e voglia di lasciarsi andare e poi gli epiloghi tutti uguali lasciano dietro di sè il deserto emotivo.
Quindi è tutta colpa di tinder? No chiaramente, questo sistema accelera e ingigantisce un processo che parte da un’autosvalutazione di sè già presente. Se il problema fosse Tinder basterebbe non utilizzarlo, invece queste situazioni si verificano anche quando gli incontri avvengono nel mondo reale. Il problema è incontrarsi, la paura di svelarsi all’altro, di mettere in comune sogni e paure, la paura di non essere adeguati, di non essere capiti, di rischiare troppo e di rimanere feriti, frenano la possibilità di aprirsi e conoscersi in modo sincero. e questa paura non è solo femminile, c’è un mondo maschile che vive da angolazioni diverse gli stessi tormenti emotivi.
Come si può fare allora se l’incontro non è possibile? Il lavoro che facciamo in psicoterapia passa attraverso la consapevolezza di sè e la scoperta della propria forza, resilienza, capacità di essere e di dare, si rafforza l’autostima e l’indipendenza emotiva non perchè si possa fare a meno dell’altro ma proprio per consentire un incontro alla pari. Non come la ragazza da salvare, amare e sostenere, ma come una compagna con cui condividere e camminare fianco a fianco. e per arrivare a questo spesso la terapia è utile non tanto perchè c’è qualcosa da correggere o aggiustare ma come processo trasformativo di scoperta personale, dove affrontare se stessi e i propri vissuti evolvendo e modificandosi verso un se consapevole e maturo….